"ERO UN FABBRICANTE DI IDOLI" di Arturo Arana

Queste mani peccaminose, con le quali ora scrivo queste righe, una volta fabbricavano «idoli». Sì, queste stesse mani avevano l’ardire di voler mutare la gloria dell’incorruttibile Iddio in immagini si­mili a quelle dell’uomo corruttibile.

Fabbricavo statue del «Sacro Cuore», del «Bambin Gesù», della «Vergine Maria» ed altre di diversi tipi e mi­sure. Fredde immagini di gesso, senza anima, che hanno occhi, ma non vedono; orecchie, ma non odono; naso, ma non hanno olfatto; bocca, ma non parlano; piedi, ma non camminano.

Dio è stato misericordioso nei riguardi di Paolo che era un persecutore dei cristiani, ma io credo che lo sia stato ancor più verso di me che ero un fabbricante di idoli, che costruivo pietre d’inciam­po con le quali i miei fratelli avrebbero peccato, rendendo loro quell’adorazione e quell’omaggio che in spirito e verità, come è stabilito dai primi due comandamenti (Es. 20:1-5), va solo a Dio.

IO ERO CATTOLICO FINO AL MIDOLLO. Figlio di genitori cattolici, educato in un collegio di Gesuiti, con origini cattoliche che si perdevano nel tempo, secondo la tradizione e il sentimento di famiglia, avrei dovuto continuare ad essere un cattolico per sempre. Ripeto, secondo la tradizione ed il sentimento di famiglia, sarei dovuto essere sempre un cattolico. Inoltre una delle mie zie era stata fatta principessa da un papa e questo, non solo riem­piva di orgoglio la mia famiglia, ma posso senz’altro dire che, fino alla mia conversione, mi ave­va sempre fatto sentire di sangue blu.

Come ho già detto, sono stato educato in un collegio di Gesuiti e lì, quando ebbi circa tredici anni, i miei superiori si adoperarono per farmi di­ventare prete. Offrendomi la possibilità di compiere gli studi a Roma, cercavano, nello stesso tempo, di radicare nella mia mente tale idea. Fortunatamente per me, a mio padre questi proponimenti non piacquero ed egli riuscì pronta­mente a liberarmene.

Nonostante ciò, rimasi sempre molto religioso e, durante la mia permanenza nel Collegio del Sa­cro Cuore, fui membro del comitato esecutivo del­la «Congregazione Mariana».

ERO DEVOTISSIMO ALLA VERGINE MARIA, che veneravo ardentemente ed ero convinto che, se anche con Cristo non fossi riuscito, con lei avrei sempre avuto quello che desi­deravo sembrandomi più raggiungibile e più amo­revole. Inganni di Satana!

Ma a quell’epoca non conoscevo la Parola di Dio che ci dice: «Uno solo infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù» (I Timoteo 2:5)

né sapevo che lo stesso San Pietro, proclamato dai cattolici loro primo papa, nella Bibbia ci assi­cura Atti 4:12 «In nessun altro c’è salvezza; Non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» ed è perciò inutile cercarla in chiunque altro.

Prima della mia conversione, come la maggior parte dei giovani cattolici che frequentavo, ero dedito al gioco, al bere, a fumare, a tutte le cose del mondo e a scambiare opinioni sugli affari. Mi piaceva vantarmi di essere un gran cattolico e allo stesso tempo un gran peccatore. Farei meglio a chiamare disgustosi peccati, i fatti dei quali mi vantavo. E posso senz’altro dire che non fu per alcun merito mio se Dio volle farmi il dono di arrivare alla conoscenza della Sua grazia e di salvarmi dalla condanna e dall’inferno.

Io ero a quel tempo quello che si suole chiama­re «un uomo dì mondo» e, contemporaneamente un buon cattolico.

Andavo alla Messa tutte le do­meniche e ODIAVO I PROTESTANTI, che sin dall’infanzia mi era stato insegnato a considerare eretici, apostati, corrotti, servitori di Satana e condannati all’inferno. Non ne sapevo il perché, ma i Gesuiti ci avevano insegnato così. Nonostante tutto ciò avevo una buona base: credevo in Dio e desideravo piacerGli.

Avevo iniziato la mia attività di fabbricante d’immagini alcuni anni prima della mia conversione a Cristo e all’epoca del primo Congresso Eucaristico di Sucre (Bolivia), desideroso di conoscere ancor più delle cose di Dio, decisi di andare ad ascoltare i sermo­ni di un famoso oratore, il gesuita La Puerta che non chiamo «padre» perchè Iddio lo vieta in Matteo 23:9
«E non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quel­lo del cielo ».

Mia moglie, però, in quel periodo, era amma­lata e, per poter ascoltare queste conferenze, fa­cevamo uso della radio.

Fu in quell’occasione che, per la prima ed unica volta nella mia vita, udii un prete cattolico parlare della Bibbia, come di un libro stupendo e affermare che essa è la Parola di Dio rivelata agli uomini e ascoltai meravigliose profezie che parlavano di nostro Signore Gesù e che erano state fatte centinaia di anni prima che venisse in questo mondo, umiliandosi e pren­dendo la forma d’uomo.

Quelle conferenze desta­rono in me una grande curiosità, e perciò decisi di leggere questo libro meraviglioso, pensando che se realmente tutto quel che avevo sentito era vero, occorreva renderlo noto a tutti.

Mi recai, allora, dal prefetto dei Gesuiti e gli chiesi di prestarmi una Bibbia ed egli, benché riluttante, mi portò una copia della versione Valera (edizione protestante) e mi disse più o meno queste parole: «Vi do questa versione perché è una tra­duzione migliore della nostra ed ha il vantaggio delle concordanze a margine: è quella che noi sacerdoti usiamo per i nostri studi». Pieno di contentezza me ne andai con la Bibbia sotto il braccio, con l’intento di dar subito principio allo studio.

Appena iniziata la lettura, però, una moltitudi­ne di dubbi cominciò ad assalire la mia mente. Confuso, tornai allora dal prefetto dei Gesuiti in cerca di chiarimenti, ma uscii da quel colloquio più turbato di prima: il sacerdote aveva gli stessi miei dubbi e non era stato in grado di risolvere le mie difficoltà.

Lo lasciai, deluso e desideroso di domandargli come avesse potuto diventare prete. Tutto quello che egli aveva saputo dirmi era stato di non an­dare troppo in profondità nella lettura della Bib­bia poiché nessuno di noi aveva la capacità e la facoltà di farlo e di accettare perciò l’interpretazione di Roma senza discuterla, poiché era l’unica infallibile.

«Quando ci assalgono dei dubbi», egli aveva aggiunto ancora «la cosa migliore da fare per di­menticarli è occuparsi in qualche altra attività» e mi confessò, infatti, che, quando veniva preso da qualche dubbio, per distrarsi, se ne andava nel suo laboratorio di chimica a fare esperimenti o a studiare.

Bene, questo metodo soddisfaceva forse quel Gesuita, ma non me. Dio ci ha dato la Sua Parola affinché la investighiamo, anzi co­manda proprio di farlo. Dopo aver restituito la Bibbia presa a prestito, me ne comprai una copia e mi dedicai con maggiore serietà allo studio di essa.

Quando si scopre che una persona non ha detto la verità, è naturale che si cominci a dubitare di tutto ciò che dice. Fu proprio quanto accadde a me nei confronti della Chiesa Cattolica, cosic­ché per tre lunghi anni brancolai nel buio più fitto.

Dubitavo di tutto, tranne che dell’esistenza di Dio, creatore di tutte le cose. Nel mio zelo di trovare luce e spiegazione ai mei dubbi, mi recai allora da un Francescano: non essendo riuscito con i Gesuiti, volevo tentare con i Francescani, l’altro potente e famoso ordine religioso che si trovava a Sucre.

Andai alla ricerca di frate Francesco, una nobile persona, che mi disse con tutta franchezza: «Figliuolo, confesso di non sapere un bel nulla di tutte queste cose. La mia è la fede di un minatore; credo perché credo. Ti darò comunque dei libri nel caso possano esserti d’aiuto». E mi diede infatti dei testi che rafforzarono le mie nuove opinioni.

Un giorno, incontrai, il signor Turner, missio­nario della Chiesa dei Fratelli e pastore della co­munità evangelica di Sucre, e gli chiesi un appun­tamento per poter discutere la questione anche con lui.

Il giorno successivo, dopo cinque minuti di conversazione, compresi che eravamo comple­tamente d’accordo. La mia maggior difficoltà riguardava la divinità di Cristo, ma dopo aver esa­minato insieme l’Evangelo di S. Giovanni, al cap. 3, v. 16 e diversi altri versetti, compresi che Cristo non era soltanto uomo, ma anche Dio. Lo avevo già accettato come mio Salvatore, ma avevo dei dubbi intorno alla Sua duplice natura.

Da quel momento in poi cominciai a crescere nella fede e decisi di dedicarmi al servizio del Si­gnore, senza comunque abbandonare la mia attività commerciale, fatta eccezione per la fabbrica­zione di «santi», che smisi immediatamente.

Sen­tivo che il Signore mi chiamava a portare il Suo messaggio di libertà ai miei compatrioti oppressi, ingannati e sfruttati da coloro che avevano trasfor­mato in un commercio la salvezza delle anime dei loro simili. Convinto, peraltro, che il cielo non si può raggiungere con il danaro, né ottenere con le opere ( Lettera agli Efesini 2: 8, 9 ; Lettera ai Romani 3: 22-25), sapendo che Dio detesta l’idolatria, in­fatti il secondo comandamento dice:

«Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prosterai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il Tuo Dio, un Dio geloso» (Eso do 20:4,5)

e poiché ero ancora in possesso di più di duecento statue, ecco iniziare una dura lotta tra la mia coscienza e la mia borsa. Il valore delle immagini era notevole e il mio portafoglio mi diceva: «Non le distruggere ; i cattolici le usano soltanto come simbolo; non le adorano».

Caro lettore, è certamente una cosa terribile quando la tasca soffre, perciò, volevo far tacere la voce della coscienza che mi diceva: «Arturo, i cattolici ado­rano queste immagini, s’inchinano dinanzi ad esse e rendono loro il culto».

In mezzo a tale lotta non sapevo più che fare, finché il Signore mi mise nel cuore questo pensiero: porre su ogni immagine, la seguente iscrizione.

Sono una immagine inanimata, opera di mano d’uomo... Perciò non merito alcuna adorazione o culto.

Poi su quelle di Cristo e del Sacro Cuore, alcune delle quali erano realmente belle, posi questa scritta:

"Rappresento Iddio, ma non Lo sono. Iddio è spirito, e quelli che Lo adorano Lo devono adorare in ispirito e verità".


Le immagini, dunque, restarono per tre mesi nel bel negozio che avevo allora, con la vetrina più grande e più elegante di tutta Sucre in quel tempo. Le persone venivano per acquistarle, ma, appena le prendevano in mano e leggevano le parole che vi erano scritte sopra, me le restituivano con un sorriso forzato dicendo: «Molto belle! ritorneremo... », ma non tornavano più.

Dal momento in cui posi sulle immagini quelle parole, ne vendetti solo due e ciò servì a provarmi che I CATTOLICI LE VOLEVANO PER ADORARLE. 

Se non fosse stato così, quale differenza avrebbero fatto quelle parole per loro? Fu allora che decisi di liberarmene. 

All’inizio, fino al momento in cui apposi quelle scritte sulle immagini, era stata mia intenzione continuare a venderle e con il ricavato costruire una cappella evangelica a Sucre, quando però, resi noto il mio progetto ai fratelli in Cristo, essi mi dissero: «Vi ringraziamo, signor Arana, per la vostra buona volontà, ma non possiamo accettare neppure un centesimo di questo danaro proveniente dal peccato dell’idolatria. Molte grazie, con le immagini fate quel che volete, ma noi non possiamo accettare quel danaro».

Ero come uno che tiene un carbone ardente in mano. Non sapevo cosa fare di tanti «santi» e di tanti idoli e distruggerli era un compito difficile, perché, a quel tempo, Sucre era la città più fanatica della Bolivia.

Ciò nonostante, seguendo il comandamento del Signore contenuto nel libro di Isaia, cap. 30, vv. 21 e 22, decisi di cominciare a disfarmene. Armato di un martello, cominciai a ridurli in pezzi e, quando furono ben frantumati, ne raccolsi i frammenti in alcune casse e li tenni chiusi in un deposito, per evitare che la Chiesa Cattolica inventasse qualche altro «miracolo».

Fu un lavoro che durò parecchi giorni, ma alla fine, quando tutte le statue furono distrutte, servendomi del camion di un mio amico e fratello nel Signore, li gettai in una discarica di rifiuti, adempiendo l’ordine divino: «i tuoi occhi sentiranno questa parola dietro di te: ”Questo è la strada, percorretela”», caso mai andiate a de­stra o a sinistra. 

Considererai cose immonde le tue immagini ricoperte d’argento; i tuoi idoli rivestiti d’oro getterai via come un oggetto immondo. “Fuori!” tu dirai loro» (Isaia 30:21,22). 

Furono due i camion che caricai e, se non fossero stati a pezzi, ne sarebbero accorsi molti di più.

Caro lettore, ti posso assicurare che non avvenne alcun miracolo, perché fu soltanto due mesi dopo essermi disfatto delle immagini che l’annunziai pubblicamente alla radio, ed era ormai troppo tardi perché si potesse preparare una frode simile a quella che udii in una certa occasione e che ti voglio raccontare.

Dicono che nella città di La Paz vi fosse un giovane oltremodo dedito al gioco, il quale chiedeva ogni giorno alla Vergine di poter vincere. Ma una sera, stanco di pregare senza successo, trasse di tasca un temperino e tagliò il quadro dall’alto in basso.

Dicono che, in quello stesso momento, in un ufficio di polizia si presentò una donna con il volto sanguinante, che accusò quale responsabile della sua ferita questo giovane e ne indicò il domicilio.

Quando la polizia giunse in quella casa, trovò il quadro lacerato. Sciocchezze, caro amico.

Io ti posso assicurare che neppure una goccia di sangue apparve sulle circa duecento statue da me fatte a pezzi e che nessun uomo o donna si presentò all’ufficio di polizia per denunciare ferite. (Forse perché le ridussi talmente in polvere da non lasciarvi dentro alito di vita?).

I cattolici dicono di tenere le immagini di Cristo e del Sacro Cuore, ecc. come noi teniamo la fotografia di una persona amata. MENZOGNA!

Caro lettore ed amico, terresti tu forse sul tuo cassettone la foto del famoso calciatore Paolo Rossi per coprirla di baci, chiamandolo padre? Chi conosce la faccia di Cristo? Chi è colui che conosce almeno il colore dei Suoi occhi?

Io ho fatto statue di Cristo sia bionde che brune, con occhi azzurri, verdi, neri o castani secondo il gusto e le idee dei clienti. Come potevano quelle immagini essere fatte a somiglianza di Cristo, dal momento che io stesso non lo avevo mai visto e mi limitavo a fare una bella faccia di tipo giudaico?

Mi ricordo di una volta in cui il prete di Betanzon mi venne a chiedere di fare un Sacro Cuore per l’altare maggiore della sua chiesa. In quel momento io non avevo alcuna immagine della taglia da lui richiesta, fatta eccezione per una statua di S. Giuseppe alta più o meno un metro e venti per cui gli dissi che non mi sarebbe stato possibile approntargliela subito, come desiderava.

Dopo, però, pensando ai soldi che avrei incassato, promisi di consegnargliela per il giorno stabilito. Entrai allora nel laboratorio, afferrai un martello, presi l’immagine di San Giuseppe e con un solo colpo gli ruppi il braccio all’altezza del gomito ; indi, preso un pezzo di gesso, feci un nuovo braccio che puntava verso il petto.

Poi, preso dell’altro gesso, formai il cuore, tolsi la palma dell’innocenza» dal braccio destro di San Giuseppe e gli feci una mano nuova; infine, poiché il santo era calvo, come me, gli ricoprii il capo di lunghi riccioli, gli resi liscia la barba ed eccolo cambiato in Sacro Cuore.

Una bella immagine, no, che ne dici? Nostro Signore Gesù non voleva che ci facessimo immagini di Lui perché è irriverente voler cambiare la gloria dell’incorruttibile Iddio in immagini simili a quelle dell’uomo corruttibile e, per questa ragione, nessuno conosce quali siano il colore dei Suoi occhi e la forma della Sua bocca o del Suo naso.

Ti racconterò ora altri due o tre casi che ti faranno vedere quanto sia ridicola l’idolatria fomentata dalla Chiesa di Roma.

Quando avevo ancora la fabbrica di immagini, erano solite venire da me delle signorine non più giovani per chiedermi delle statue di Sant’Antonio alle quali si potesse aggiungere o togliere il fanciullino che il «santo» reca di solito in braccio.

Esse dicevano che lo stavano pregando per poter trovare marito e volevano delle immagini così fatte in modo da poter togliere quella del fanciullo e punire san’Antonio nel caso non l’avesse loro concesso. Si può immaginare stupidità più grande?

Ad Aiquile una signora profondamente cattolica, ma molto sensata, si converti al Signore, grazie all’esperienza che ora ti narrerò.

Aveva un cagnolino dal pelo bellissimo ed un giorno, avvicinata da un pittore, se ne sentì chiedere alcuni peli della coda. Dopo aver soddisfatto la sua richiesta, la signora, alquanto sorpresa, gli domandò a che cosa mai gli sarebbero serviti. «Per fare le ciglia e le sopracciglia dei santi che devo riparare», fu la risposta. «Da allora», dichiarò la signora, «ho abbandonato per sempre l’idolatria. Come avrei potuto inchinarmi ad adorare i peli della coda del mio cane?».

Ora, caro lettore, vorrei chiederti di meditare su queste parole di Dio che puoi leggere nella Sacra Bibbia.

Al Salmo 115 (113 è detto:
Gli idoli delle genti sono argento e oro, opera delle mani dell’uomo. Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, Hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano. Hanno mani e non palpano, hanno piedi e non camminano; dalla gola non emettono suoni. Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida.

Nel Vangelo secondo San Giovanni al capitolo 4 versetto 24, il Signor Gesù ci insegna:


«Iddio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità».

Caro lettore, ascolta la voce di Dio e non quella degli uomini che hanno mutato la salvezza dei loro simili in un commercio; il cielo non si vende né si compra perchè Iddio lo offre gratuitamente, per la Sua grazia e per il Suo amore, a chiunque Lo voglia ricevere.

«Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio» (Giovanni 3: 16,19).

«Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio incombe su di lui» (Giovanni 3:36).

«Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia, dopo la tolleranza usata verso i peccati passati» (Romani 3.23,25).

«Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato» (I Giovanni 1:7).

«Perché il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù no­stro Signore» (Romani 6:23).

Leva gli occhi, allora, verso l’unico Iddio vivente e vero attraverso nostro Signore Gesù Cri­sto, che è la Via, la Verità e la Vita, perchè solo per mezzo di Lui possiamo andare al Padre.

Non adorare la creazione delle mani dell’uomo, non ti piegare davanti a fantocci di gesso che forse le mie stesse mani hanno fatto.

Credi nel Signore Gesù e sarai salvato.

Non lasciarti ingannare da uomini che hanno mutato la gloria del Dio incorruttibile in immagini simili a quelle del­l’uomo corruttibile (Rom. 1:23); non dimenticare che il cielo non si compra e non si vende e che Iddio te lo offre ora gratuitamente attraverso la fede nel Suo Figliuolo benedetto, come ti offre il perdono per i tuoi peccati attraverso la fede nel Suo sangue prezioso sparso per salvarti.

Rifletti: se tu potessi raggiungere il cielo attraverso le cerimonie religiose e le opere, allora Cristo sarebbe morto invano. Lo Spirito Santo possa convincerti e benedirti.

Arturo Arana